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Presentazione del libro "Per terre oscure"

Domanda – Partiamo proprio dal titolo, come mai “Per terre oscure”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume? 
Isabella Horn – “Per terre oscure” – lo sottolinea la scelta della preposizione “per” – si propone come un viaggio, oppure, forse, una specie di diario di un viaggio per le zone occulte, notturne, remote della nostra dimensione spazio-temporale, ma anche della nostra interiorità: un’esplorazione dell’ombra che,
indissolubilmente, fa parte del vivere per cui non va rifiutata, ma invece accolta come compagna di strada necessaria per dare profondità al nostro ‘viandare’ in cerca della luce di un senso irraggiungibile senza la conoscenza della sua/nostra gemella oscura.
Domanda – Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Isabella Horn – Nella narrazione non mancano luoghi concreti, geograficamente individuabili – il Mugello toscano, Volterra, la Germania settentrionale delle coste baltiche – ma, nonostante i cenni descrittivi, vanno intesi soprattutto come metafore di stati d’animo: dubbio, rimorso, solitudine, smarrimento, nostalgia, rabbia e senso di morte… ma sempre sostenuti non tanto dalla ‘fede’ in una luce ‘altra’, quanto piuttosto dalla volontà di percorrere fino in fondo il proprio cammino anche se ‘oscuro’ e, forse, fallimentare: una specie di amor fati.
Domanda – La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Isabella Horn – Un’adesione – a volte pericolante – alla vita bifronte e al destino immancabilmente precario e impermanente dell’essere umano. Un sì che, in ogni momento, si può rovesciare in un no. E viceversa: l’adesione non avviene una volta per tutte; è piuttosto un processo con una sua dinamica soggetta ad alti e bassi.
Domanda – A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro “Per terre oscure”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Isabella Horn – Contrariamente ad altri miei testi poetici, divisi in ‘sezioni’, “Per terre oscure” è un libro coeso dal quale non c’è niente da ‘estrapolare’: il percorso, pur non essendo lineare né univoco – l’oscurità lo esclude! – si svolge comunque all’insegna dello stesso sentire e vivere le regioni dell’ombra.
Domanda – Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Isabella Horn – La mia poesia, da diversi anni, si serve della rima, tecnica da molti ritenuta obsoleta. Premetto che non si tratta di una rima di stampo tradizionale, ma in qualche modo reinventata, sfuggente, talvolta impercettibile. Eppure c’è: si tratta ormai di una mia irrinunciabile cifra stilistica, ma non per questo mi sento ‘epigonale’ o peggio obsoleta. Vedo nella rima un mezzo formidabile per conferire musicalità al verso, il che, troppo spesso, non si dà nei ritmi liberi. E, secondo me, non va dimenticata la comune origine di poesia e canto. Modelli? Più che altro, inarrivabili ‘amori’, Baudelaire in primis. Tra gli ‘antichi’, Guido Cavalcanti, con le sue musicalissime ballate. Ma anche Quasimodo (più che Montale) e lo stupendo (e purtroppo poco noto) “Codice siciliano” di Stefano D’Arrigo, autore del monumentale romanzo “Horcynus Orca”, capolavoro che può essere letto anche come un grande poema oceanico…
Domanda – Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Isabella Horn – La musica, soprattutto quella sinfonica di Gustav Mahler… E, da qualche tempo, i compositori prebarocchi che scrivono per liuto e tiorba: Kapsberger, Dowland, Piccinini. I brani prebarocchi non finiscono di sorprendermi, con le loro strutture e sonorità così lontane da quelle della musica definita ‘classica’, e forse per questo tanto vicine ad una sensibilità moderna.
Domanda – Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Isabella Horn – Al di là della poesia, spazio dai romanzi classici (Hugo, Dickens, i grandi russi) a quelli novecenteschi di D.H.Lawrence, Virginia Woolf, Hermann Hesse (“Il lupo della steppa”,soprattutto), Hermann Broch (“La morte di Virgilio”). Poi gli americani: Hemingway, Faulkner, Fitzgerald. Dei francesi, Céline e Camus. Mi piace – se fatto bene – il genere fantasy (p.es. Marion Zimmer Bradley) o quello fantascientifico di un Ray Bradbury. Dei giallisti frequento solo Andrea Camilleri. Invece amo molto il genere satirico e/o militante, sia classico che moderno.
Bertolt Brecht è uno dei miei preferiti.
Domanda – Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Isabella Horn – Decisamente il cartaceo: per me il libro rimane (anche) un oggetto da prendere in mano, toccare, annusare, sfogliare, con le pagine da segnare, le parole da sottolineare, anche con le ‘orecchie d’asino’ – perché no? Il digitale, ormai, offre soluzioni alternative, ma non è lo stesso… non ti fa
la compagnia che offre il libro vero, da tenere sul comodino accanto alla lampada! Come si fa ad ‘amare’ un libro digitale?
Domanda – Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Isabella Horn – Totale. Cioè senza permettermi distrazioni. Per cui, durante la composizione del libro, c’è stato poco tempo da dedicare alla cosiddetta ‘vita sociale’, se non a piccole dosi.
Domanda – Un motivo per cui lei comprerebbe “Per terre oscure”, se non lo avesse scritto.
Isabella Horn – Mi sentirei attratta dal titolo.
Domanda – Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Isabella Horn – Ho nel cassetto un ‘romanzo in versi’, un lavoro vagamente autobiografico…


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