Cronaca

Mostro di Firenze dopo 50 anni: le 10 tappe di uno dei più grandi gialli italiani

Il 21 agosto del 1968 furono uccisi Antonio Lo Bianco e Barbara Locci: da allora si è aperto il mistero

Foto Today.it

Otto duplici delitti, tra il 1968 e il 1985, condanne, assoluzioni e inchieste ancora in corso come quella in cui è indagato ora Giampiero Vigilanti. 50 anni fa si consumava il primo delitto per mano del cosidetto 'Mostro di Firenze'. Il o i responsabili dell'uccisione delle coppiette non sono mai stati trovati. Pietro Pacciani (morto prima del secondo processo), Mauro Vanni (condannato all'ergastolo per 4 degli 8 duplici omicidi), Giancarlo Lotti e Fernando Pucci sono stati processati quali autori materiali dei delitti. Erano conosciuti con il nome di 'Compagni di merende' perché Vanni durante il processo raccontò che si vedeva con Pacciani per andare a fare 'merenda'. 

IL PRIMO DELITTO, 21 agosto 1968

 

Antonio Lo Bianco e Barbara Locci

La notte del 21 agosto 1968, all'interno di una Alfa Romeo Giulietta bianca posteggiata presso una strada sterrata vicino al cimitero di Signa, furono assassinati Antonio Lo Bianco, muratore originario di Palermo di 29 anni, sposato e padre di tre figli, e Barbara Locci, casalinga di 32 anni, originaria di Villasalto, in Provincia di Cagliari. I due erano amanti; la donna era sposata con Stefano Mele, un manovale sardo emigrato in Toscana alcuni anni prima. A serata conclusa, i due amanti, si erano poi appartati in macchina. Al momento dell'aggressione, intorno alla mezzanotte, i due erano intenti in preliminari amorosi. Sul sedile posteriore dormiva Natalino Mele, di 6 anni, figlio di Barbara Locci e Stefano Mele. L'assassino si avvicinò all'auto ferma ed esplose complessivamente otto colpi da distanza ravvicinata: quattro colpirono la donna e quattro l'uomo. Verranno trovati cinque bossoli di cartucce calibro 22 Long Rifle Winchester con la lettera "H" punzonata sul fondello.

Le indagini si diressero subito verso il marito della donna, Stefano Mele che si sospettava potesse aver commesso il delitto per gelosia. Il 23 agosto, dopo 12 ore di interrogatorio, e dopo aver negato inizialmente un suo coinvolgimento ed aver gettato sospetti sui vari amanti della moglie, arrivò a confessare il delitto.

I magistrati sentirono più volte il piccolo Natalino Mele, che dopo aver sostenuto per giorni di non aver sentito, né visto nulla,  ammise di aver visto al suo risveglio il padre, e che questo lo avrebbe preso sulle spalle portandolo fino alla casa del Vingone dopo avergli fatto promettere di non dire nulla.

Mele cedette confermando la versione del figlio, scagionando le altre persone accusate fino a quel momento. Nonostante le molte incongruenze e l'assenza dell'arma, nel marzo del 1970 Stefano Mele fu condannato dal tribunale di Perugia in via definitiva alla pena di 14 anni di reclusione

14 settembre 1974: gli omicidi di Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini

Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini

E' il primo duplice omicidio di apparente natura maniacale. Pasquale Gentilcore di 19 anni, impiegato alla Fondiaria Assicurazioni, e Stefania Pettini, 18 anni (la vittima più giovane del serial killer, come Pia Rontini), segretaria d'azienda presso un magazzino di Firenze ed attivista del Partito Comunista Italiano,furono uccisi in una strada sterrata nella frazione di Rabatta, vicino a Borgo San Lorenzo. I due si frequentavano da circa due anni 

Pasquale Gentilcore, dopo aver accompagnato la sorella Cristina alla discoteca Teen Club di Borgo San Lorenzo, promettendole di tornare a prenderla al più tardi per la mezzanotte, raggiunse la fidanzata a Pesciola di Vicchio, presso l'abitazione di lei. Da lì, verso le 22, i due giovani ripartirno per raggiungere gli amici che li aspettano in quello stesso locale per proseguire la serata. Durante il tragitto decisero però di appartarsi in un tratto sulle sponde della Sieve, da loro già conosciuto e normalmente frequentato dalle coppiette della zona. Intorno alle 23:45 (orario appurato sulla base di un testimone che sentì dei colpi di pistola a quell'ora) qualcuno spuntò forse dall'attiguo vigneto e cominciò ad aprire il fuoco.

Pasquale Gentilcore, seduto al posto di guida, fu raggiunto da cinque colpi esplosi dalla stessa Beretta di Mele. La ragazza venne raggiunta da tre colpi che tuttavia non la uccisero; venne trascinata fuori dall'auto ancora viva, resa del tutto incapace di fuggire a causa delle profonde ferite alle gambe provocate dai tre proiettili, e uccisa con tre coltellate profonde allo sterno. Dopo averne disteso il corpo dietro l'auto, l'assassino continuò a colpirla per altre 96 volte, colpendo anche il  seno ed il pube. Successivamente l'omicida mise nella vagina della ragazza un tralcio di vite particolare questo che, anni dopo, farà pensare ad un possibile movente esoterico. Per la prima volta il killer asportò il seno sinistro e il pube della vittima. 

Il pomeriggio prima di essere uccisa la Pettini aveva confidato ad un'amica di aver fatto uno "strano incontro" con una persona poco piacevole che l'aveva turbata, ma non ebbe tempo di approfondire il fatto. Un amico della Pettini, titolare della scuola guida dove la ragazza stava conseguendo la patente, raccontò ai carabinieri di un pedinamento da parte di uno sconosciuto in auto durante una lezione di guida, il venerdì sera prima del delitto. 

6 giugno 1981: gli omicidi di Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio

Carmela De Nuccio e Giovanni Foggi

Dopo sette anni, furono commessi due duplici omicidi nello stesso anno, il 1981. Il primo si consumò nella notte tra il 6 e il 7 giugno nei pressi di Scandicci. Le vittime erano Giovanni Foggi, 30 anni, dipendente dell'Enel e la sua ragazza, Carmela De Nuccio, pellettiera di 21 anni. I due si conoscevano da pochi mesi ma avevano già programmato di sposarsi.

La sera del delitto, un sabato, cenarono a casa dei genitori di Carmela, poi, verso le 22, uscirono per una passeggiata e si appartano con l'auto,  in una stradina sterrata sulle colline di Roveta, in una zona frequentata abitualmente da coppiette e guardoni, dove furono sorpresi dal serial killer. Carmela subì la stessa sorte di Stefania. 

22 ottobre 1981: gli omicidi di Stefano Baldi e Susanna Cambi

Stefano Baldi e Susanna Cambi

Il 22 ottobre 1981,  a Travalle di Calenzano vicino a Prato, in località Le Bartoline, lungo una strada sterrata che attraversa un campo, a poca distanza da un casolare abbandonato, furono uccisi Stefano Baldi, di 26 anni, operaio tessile di Calenzano, e Susanna Cambi, commessa di 24 anni. I due giovani, avrebbero dovuto sposarsi entro pochi mesi, avevano cenato a casa di Stefano, quindi erano usciti a bordo dell'auto del giovane. 

La Cambi fu raggiunta e uccisa da cinque colpi, mentre il ragazzo venne colpito quattro volte. La pistola è la stessa dei delitti precedenti. In questo caso l'omicida, per raggiungere la ragazza e compiere l'escissione del pube, fu costretto ad estrarre dall'auto anche il corpo di Stefano. Il corpo della ragazza verrà trovato ad una decina di metri dall'auto, in un canaletto, con la maglia sollevata fino al collo. Il seno sinistro presentava gravi ferite inferte con arma bianca. 

Secondo quanto sostenuto dall'avvocato Nino Filastò, inoltre, poco prima del delitto Susanna Cambi avrebbe fatto capire alla madre di essere pedinata da qualcuno. In una circostanza, mentre guidava l'auto in compagnia della madre, aveva rischiato di provocare un incidente spiegandole che "un tale, il solito" la stava seguendo e che era sua intenzione evitare di incontrarlo.

19 giugno 1982: gli omicidi di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini

Antonella Migliorini e Paolo Mainardi

La notte del 19 giugno 1982, a Baccaiano di Montespertoli furono uccisi Paolo Mainardi, meccanico di 22 anni, e Antonella Migliorini di 19, dipendente di una ditta di confezioni. I due giovani, fidanzati da molti anni e soprannominati dagli amici Vinavil perché inseparabili, erano appartati a bordo di una piccola Fiat 147, in uno slargo presente sulla Strada Provinciale Virginio Nuova dopo aver trascorso la serata a cena con dei parenti. Nelle ultime settimane Antonella aveva confidato ad amiche e colleghe di aver paura del maniaco delle coppiette (il termine Mostro di Firenze all'epoca non era stato ancora coniato) e che avrebbe evitato di appartarsi in luoghi isolati col fidanzato.

L'assassino colse i giovani nell'oscurità. Paolo rimase solo ferito dai primi colpi e riuscì a mettere in moto l'auto ed a inserire la retromarcia. A questo punto l'assassino sparò contro i fari anteriori dell'auto e colpì a morte i due giovani

Questo delitto si differenzia dai precedenti per almeno due motivi; innanzitutto il luogo in cui avvenne l'aggressione non era appartato; a pochi chilometri di distanza, nel paese di Cerbaiaera c'era la festa del Santo patrono. In secondo luogo l'omicida, per la prima volta, non eseguì le escissioni dei feticci e non ebbe il tempo materiale per infierire sui cadaveri, probabilmente a causa dei rischi che questa operazione avrebbe comportato, considerato che la macchina era visibilmente disposta in modo innaturale sulla strada.

Il delitto sarà infatti scoperto pochissimo dopo da una vettura sopraggiunta nel frattempo. Al momento della scoperta del delitto Antonella era morta mentre Paolo respirava ancora. Paolo morì il mattino seguente all'ospedale di Empoli senza riprendere coscienza.

Sarà inoltre a seguito di questo delitto che il maresciallo Fiori, 15 anni prima in servizio a Signa, ricorderà del delitto avvenuto nell'estate del 1968, e permetterà la riapertura del fascicolo in cui verranno ritrovati i bossoli repertati quell'anno; sarà così possibile comparare i bossoli e stabilire che a sparare nel 1968 era stata la stessa arma utilizzata nel 1982. 

9 settembre 1983: gli omicidi di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch

Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch

Il 9 settembre 1983, a Giogoli, furono assassinati due turisti tedeschi, Jens-Uwe Rüsch e Horst Wilhelm Meyer, entrambi di 24 anni, studenti presso l'Università di Münster che al momento dell'aggressione si trovavano a bordo del loro furgone Volkswagen con l'autoradio accesa. I ragazzi furono raggiunti e uccisi da sette proiettili, sparati con una certa precisione attraverso la carrozzeria del furgone.

Le indagini successive al delitto permetteranno di stabilire che i colpi erano stati sparati da un'altezza di circa un metro e 30 centimetri da terra, il che fa supporre che l'assassino fosse alto almeno 1 metro e 80, o anche di più. L'ipotesi dell'altezza del killer superiore alla media non è però condivisa da tutti, in primis da Perugini e da altri inquirenti.

Una volta uccisi i due giovani, l'assassino salì sul retro del furgone ma, accortosi che le vittime erano entrambe di sesso maschile, si dileguò senza utilizzare armi bianche ed effettuare alcuna escissione sui corpi.

In questo caso, l'assassino è stato forse tratto in errore dai capelli lunghi e dalla corporatura esile di Rüsch, probabilmente scambiato per una donna. Il denaro e le macchine fotografiche delle vittime non vennero prelevate, né sembrarono mancare oggetti di valore.

29 luglio 1984: gli omicidi di Claudio Stefanacci e Pia Rontini

Claudio Stefanacci e Pia Rontini

Le vittime del penultimo delitto del Mostro di Firenze sono Claudio Stefanacci, studente universitario di 21 anni, e Pia Gilda Rontini di 18 anni, da poco tempo impiegata presso il bar della stazione ferroviaria di Vicchio e majorette nella banda musicale del paese.

L'auto dei giovani, una Fiat Panda celeste, fu parcheggiata in fondo a una strada sterrata che parte dalla Strada Provinciale Sagginalese tra Vicchio e Dicomano. Quando furono aggrediti, i due ragazzi erano seminudi sul sedile posteriore della Panda di proprietà del ragazzo. L'omicida sparò attraverso il vetro della portiera destra colpendo il ragazzo quattro volte (di cui una alla testa), e due volte la ragazza. Anche il corpo di Pia fu seviziato.

I cadaveri furono scoperti prima dell'alba da alcuni amici della coppia, ma l'allarme per la scomparsa dei due era stato dato già verso le 23 circa dalla madre della Rontini, preoccupata per l'insolito ritardo della figlia che al momento di uscire di casa, poco dopo le 21, aveva promesso di rientrare entro un'ora essendo stanca per aver lavorato tutto il giorno. Anche in questo caso pare che la vittima femminile avesse subito molestie da parte di ignoti nei giorni precedenti al delitto. 

Il padre di Pia, Renzo, ha lottato per tutta la vita per ottenere giustizia per la figlia: ha piantato due croci bianche per ricordare l'ignobile delitto della figlia e del compagno nel boschetto in cui vennero uccisi. 20 anni fa è morto per arresto cardiaco in Via San Gallo mentre si stava recando in Questura, come sempre era andato a Firenze da Vicchio per chiedere novità sulle indagini.  

6, 7 o 8 settembre 1985: gli omicidi di Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot

Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot

L'ultimo duplice delitto (quello su cui si hanno più particolari e riscontri) avvenne nella campagna di San Casciano Val di Pesa, in frazione Scopeti, all'interno di una piazzola attorniata da cipressi, attigua ad un cimitero, in cui erano solite appartarsi le giovani coppie. Le vittime furono due giovani francesi, Jean-Michel Kraveichvili, musicista venticinquenne di origini georgiane, e la trentaseienne Nadine Mauriot (la vittima più anziana del mostro), titolare di un negozio di calzature, madre di due bambine piccole recentemente separata dal marito.I cadaveri furono rinvenuti un paio di giorni dopo l'assassinio.

Nadine Mauriot aveva avvertito i parenti in Francia che sarebbe rientrata dalla vacanza al più tardi domenica sera per riuscire ad accompagnare al primo giorno di scuola le figlie il lunedì successivo e riaprire nel contempo il negozio di sua proprietà. La donna però non rivide mai le figlie.

Due testimoni riferirono di aver notato la tenda delle vittime all'interno della quale sembrava esservi una persona distesa e anche di un nugolo di mosche e di cattivo odore nella zona. Per questo furono ritrovati i corpi dei giovani francesi.

Le modalità dell'aggressione sono simili a quelle messe in pratica dall'omicida seriale. Il modus operandi particolare attuato dall'omicida in quest'ultimo delitto lascia presupporre che l'assassino avesse l'intento di ritardare il più possibile la scoperta dei corpi

Poche settimane dopo il delitto, il 2 ottobre, giunsero in Procura tre buste anonime indirizzate ai tre sostituti procuratori Pier Luigi Vigna, Paolo Canessa e Francesco Fleury. Le tre buste contenevano la fotocopia di un articolo ritagliato da La Nazione, una cartuccia marca Winchester calibro 22 serie "H", e un foglietto di carta bianco piegato in due con scritto: Uno a testa vi basta

17 gennaio 1993: l'arresto di Pacciani

Pietro Pacciani (foto Today.it)

Dopo l'omicidio degli Scopeti (l'ultimo della serie) le indagini proseguirono ma, fino al 1991, non ci furono sviluppi significativi. La SAM (Squadra Anti-Mostro), il pool di forze dell'ordine che indagava esclusivamente sugli omicidi seriali delle colline fiorentine dal 1984, era capeggiata da Ruggero Perugini. Pietro Pacciani diventò il sospettato numero uno della SAM nel 1991, mentre questi si trovava in carcere per la condanna per stupro nei confronti delle sue due figlie; anche una lettera anonima risalente al 1985 invitava gli inquirenti ad indagare su di lui. 

Nato ad Ampinana (Vicchio) il 7 gennaio 1925, ex partigiano soprannominato il Vampa per via del suo carattere irascibile e per i suoi trascorsi giovanili come mangiafuoco per le fiere paesane (che una volta gli costarono un'ustione al viso), Pacciani era un uomo collerico, depravato e brutale indipendentemente dalle accuse riguardanti i delitti del Mostro di Firenze. Nel 1951, a 26 anni, Pacciani sorprese l'allora fidanzata, Miranda Bugli (appena quindicenne), in atteggiamenti intimi con un altro uomo, tale Severino Bonini di 41 anni; preso dalla gelosia, uccise a coltellate il rivale costringendo poi la ragazza ad avere un rapporto sessuale accanto al cadavere. Arrestato e processato, dichiarò d'essere stato accecato dal furore avendo visto la fidanzata denudarsi il seno sinistro (lo stesso che negli ultimi due delitti venne asportato alle vittime femminili del pluriomicida). Per questo omicidio, Pacciani fu condannato a 13 anni di carcere che scontò interamente. 

Pacciani venne arrestato con l'accusa di essere l'omicida delle otto coppie di giovani il 17 gennaio 1993. Il 19 aprile 1994, con il collegio difensivo composto dagli avvocati Piero Fioravanti e Rosario Bevacqua, iniziò il processo di primo grado, presieduto da Enrico Ognibene, con l'accusa rappresentata dal sostituto procuratore Paolo Canessa. Il tribunale di Firenze condannò il contadino all'ergastolo per quattordici dei sedici omicidi per cui era imputato (venne infatti ritenuto non colpevole del duplice omicidio del 1968). 

Il verdetto si ribalterà però quindici mesi più tardi, nel secondo grado di giudizio. Successivamente però, il 12 dicembre 1996, la Cassazione annulla l'assoluzione e dispone un nuovo processo d'appello. Pacciani non lo potrà mai subire perchè morì il 22 febbraio 1998.

I soldi di Pacciani vennero presi in considerazione, come indizio del coinvolgimento del contadino nei delitti, solo nelle inchieste successive alle condanne ai compagni di merende, quando si ipotizzò che Pacciani e i suoi compari di bevute ricevessero denaro per eseguire gli omicidi su commissione da parte di mandanti mai identificati.

Solo a metà degli anni novanta, con l'arrivo a capo della Squadra mobile di Firenze di Michele Giuttari le indagini si concentrarono più dettagliatamente anche su alcuni amici di Pacciani coinvolti nella vicenda, ossia Mario Vanni, Giancarlo Lotti, Fernando Pucci e Giovanni Faggi (quest'ultimo assolto, in tutti e tre i gradi di giudizio, da ogni accusa riguardante gli omicidi).

Le successive intercettazioni telefoniche, fecero emergere in alcuni la possibilità che Pacciani fosse stato ucciso dagli appartenenti ad una setta satanica-esoterica perché colpevole di averli traditi, magari proprio da coloro che l'avrebbero ingaggiato per i delitti. Pacciani fu sepolto nel cimitero di Mercatale in Val di Pesa. I suoi resti mortali vennero esumati il 17 luglio 2013 per essere destinati a una fossa comune.

Ultima tappa delle indagini

Da un anno Canessa sta seguendo una nuova pista di indagini sul ‘Mostro di Firenze’. Un nuovo soggetto è indagato per i delitti che seminarono il panico nelle colline fiorentine tra gli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta. Si tratta di Giampiero Vigilanti, 87 anni, residente a Prato ed originario di Vicchio (Firenze), il paese in cui è cresciuto Pietro Pacciani, il sospettato numero uno.

Vigilanti avrebbe conosciuto personalmente lo stesso Pacciani. L’uomo fu già perquisito nel settembre del 1985, tre giorni prima della perquisizione in casa di Pacciani e pochi giorni dopo il delitto di Scopeti (l’ultimo). I carabinieri lo perquisirono "in quanto il predetto, da accertamenti svolti, poteva identificarsi nel noto mostro di Firenze" (si legge nel verbale dell'epoca). Gli trovarono soltanto molti articoli sulle uccisioni dei fidanzati e sulle prostitute uccise in quegli stessi anni. All’epoca le forze dell’ordine pensarono che poteva essere solo il segno di un interesse morboso e niente più.

La nuova pista di indagine era già stata indicata dall'avvocato Adriani, legale della coppia di francesi uccisa nel 1985 agli Scopeti. L'87enne sarebbe stato vicino agli ambienti dell'estrema destra fiorentina, l'ipotesi è che i delitti del 'Mostro' siano stati compiuti per distogliere l'attenzione dagli attentati della strategia della tensione. Sono state passate al setaccio le relazioni di Vigilanti con Pacciani, con un defunto imprenditore di origini tedesche a suo tempo investito dalle indagini e con Salvatore Vinci, ma anche con altri elementi delle destra estrema

La Procura di Firenze, che non si è mai fermata dopo le condanne definitive di Mario Vanni e Giancarlo Lotti - conosciuti come i 'compagni di merende' – e anche dopo la morte di Pietro Pacciani deceduto prima che la giustizia si pronunciasse definitivamente sulle sue responsabilità, ha continuato a indagare, sempre sotto la guida Paolo Canessa, lo storico pm delle indagini sul Mostro di Firenze, che oggi è procuratore di Pistoia.


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